di Claudio Alessandri
SiciliaInformazioni
Abbiamo appreso recentemente, da un comunicato stampa, della ripresa dei lavori di restauro del “Sollazzo” arabo – normanno della Fawarah, generalmente conosciuto come “Castello di Maredolce”.Questa notizia ci ha proiettati indietro di molti anni, più precisamente tra 1969 ed il 1970. In quel periodo, grazie all’impegno ed alla passione dell’architetto Silvana Braida, si diede inizio ai primi sopralluoghi per renderci conto dello stato del sito che sapevamo essere disastroso, quindi studiare un piano d’intervento per salvare quel poco che era sopravissuto agli insulti del tempo, ma molto più all’incuria delle autorità preposte alla salvaguardia dei monumenti d’importanza storica, e agli interventi distruttivi dei senza tetto che si erano introdotti all’interno delle rovine occupando ogni stanza, bugigattolo o buco che offrisse loro un riparo, per quanto inadatto all’utilizzo di abitazione civile.Dell’originario “sollazzo” rimaneva molto poco e quello che era ancora riconoscibile necessitava di interventi urgenti di consolidamento. L’impresa intrapresa dalla Braida si mostrò immediatamente di grande difficoltà; bisognava liberare il monumento dagli inquilini abusivi, ai quali però l’amministrazione comunale avrebbe dovuto assegnare, in alternativa, una casa, la cementificazione selvaggia di quegli anni non aveva risparmiato la Fawarah che era stata letteralmente occultata da fabbricati per lo più abusivi, le sorgenti che scaturivano da monte Grifone e che avevano alimentato il grande bacino che circondava il monumento erano divenute inutilizzabili perché il loro corso era stato sbarrato dalla nuova autostrada Palermo – Catania.I lavori necessari ad un eventuale restauro avrebbero potuto salvare quel poco che ancora era fruibile, ma certamente con un impegno economico imponente. Eravamo assolutamente coscienti delle difficoltà che si sarebbero dovute affrontare, ma la passione non ci consentiva di arrenderci.Iniziò una attività frenetica, vennero effettuati rilievi fotografici, misurazioni, ricerche di riproduzioni antiche del “castello” per renderci conto dell’aspetto originario, nei limiti del possibile, del monumento ed infine l’architetto Braida iniziò ad elaborare una miriade di grafici, indispensabili all’intervento definitivo.Purtroppo tanta passione e fatica rimasero tali a causa delle molte difficoltà economiche e burocratiche intervenute. Non era la prima né sarebbe stata l’ultima volta di un doloroso “stop” di un restauro senza sapere se e quando sarebbe ripreso.Da quei lontani giorni di grande entusiasmo l’attività dell’architetto non si è mai arrestata e, passo passo, si è giunti agli attuali interventi che prevedono la prosecuzione dello sbancamento del terreno di riempimento del lago artificiale, con l’intenzione di ridonarlo all’antico utilizzo, inoltre la demolizione delle fabbriche prospicienti via Giafar, nonché l’abbattimento delle sovrastrutture recenti create all’interno della corte del “castello”, pavimentazione della cappella dedicata a S. Filippo, dell’aula regia, di tutti gli ambienti della corte interna, dell’ambiente anticamente adibito alla preghiera e della grandissima sala, lato sud.Come si può notare, si tratta di un intervento a “largo raggio”, ci auguriamo vivamente che i lavori previsti giungano finalmente al termine. Purtroppo l’architetto Braida non avrà la gioia di vedere quei luoghi restituiti alla fruizione dei cittadini, infatti ci ha lasciati inopinatamente nel 2001.
Qualche cenno storico. Il “castello” assunse il nome dal parco della “Fawarah” dall’arabo “sorgente che bolle”. Questa sorgente sgorgava, come scritto innanzi, dal Monte Grifone e proseguiva il suo corso fino al mare dopo avere alimentato la grande peschiera del “castello”; lo stesso monte è conosciuto anche con il nome di “Monte dei Giganti” dai ritrovamenti numerosi, di ossa fossili degli animali preistorici vissuti in Sicilia. L’acqua della sorgente è dolce, ecco perché l’edificio è conosciuto come “castello di Maredolce”.Un primo cenno dell’esistenza di questi luoghi ameni, destinati allo svago dei re, lo si ritrova nella poetica descrizione fatta dal viaggiatore Ibn Gubayr che, dopo avere visitato Palermo, descrisse i suoi dintorni: “I Sollazzi dei re accerchiano, la gola della città”, paragonando Palermo ad una leggiadra fanciulla adornata da una preziosa collana.Nella realtà non era proprio così, ma l’immagine di Ibn Gubayr è tanto bella che giustifica eventuali errori di caratteri spaziale, una licenza poetica, insomma.Come per la maggior parte dei monumenti siciliani risalenti alla conquista normanna, anche per quello della Fawarah il periodo di fondazione rimane incerto, i documenti a nostra conoscenza sono contrastanti e per nulla chiari atti quindi a consentire una datazione ineccepibile. Alcuni studiosi e storici del passato propendono per una sua origine araba, ma altri giungono addirittura ad attribuirlo al periodo della dominazione romana teorizzando che gli arabi abbiano operato sui resti di preesistenti fabbricati.Lo storico Michele Amari affermò che la fabbrica principale, il lago artificiale compreso il vasto parco circostante, furono opera dell’Emiro Kelbita Giafar, occupati successivamente, nel 1071 dal Conte Ruggero.Questa tesi, per quanto proveniente da una dottissima fonte, trova parecchi oppositori negli studiosi dei secoli che seguirono. Noi siamo del parere che solo un esame diretto e critico possa chiarire, una volta per tutte, tutti i dubbi.
Qualche cenno storico. Il “castello” assunse il nome dal parco della “Fawarah” dall’arabo “sorgente che bolle”. Questa sorgente sgorgava, come scritto innanzi, dal Monte Grifone e proseguiva il suo corso fino al mare dopo avere alimentato la grande peschiera del “castello”; lo stesso monte è conosciuto anche con il nome di “Monte dei Giganti” dai ritrovamenti numerosi, di ossa fossili degli animali preistorici vissuti in Sicilia. L’acqua della sorgente è dolce, ecco perché l’edificio è conosciuto come “castello di Maredolce”.Un primo cenno dell’esistenza di questi luoghi ameni, destinati allo svago dei re, lo si ritrova nella poetica descrizione fatta dal viaggiatore Ibn Gubayr che, dopo avere visitato Palermo, descrisse i suoi dintorni: “I Sollazzi dei re accerchiano, la gola della città”, paragonando Palermo ad una leggiadra fanciulla adornata da una preziosa collana.Nella realtà non era proprio così, ma l’immagine di Ibn Gubayr è tanto bella che giustifica eventuali errori di caratteri spaziale, una licenza poetica, insomma.Come per la maggior parte dei monumenti siciliani risalenti alla conquista normanna, anche per quello della Fawarah il periodo di fondazione rimane incerto, i documenti a nostra conoscenza sono contrastanti e per nulla chiari atti quindi a consentire una datazione ineccepibile. Alcuni studiosi e storici del passato propendono per una sua origine araba, ma altri giungono addirittura ad attribuirlo al periodo della dominazione romana teorizzando che gli arabi abbiano operato sui resti di preesistenti fabbricati.Lo storico Michele Amari affermò che la fabbrica principale, il lago artificiale compreso il vasto parco circostante, furono opera dell’Emiro Kelbita Giafar, occupati successivamente, nel 1071 dal Conte Ruggero.Questa tesi, per quanto proveniente da una dottissima fonte, trova parecchi oppositori negli studiosi dei secoli che seguirono. Noi siamo del parere che solo un esame diretto e critico possa chiarire, una volta per tutte, tutti i dubbi.