domingo, 8 de marzo de 2009

STORIA DELL'EMIGRAZIONE ITALIANA


Gli italiani sono stati protagonisti del più grande esodo migratorio della storia moderna. Nell’arco di poco più di un secolo, a partire dal 1861, sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze, un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione al momento dell’Unità. Certo, si tratta di un dato al lordo dei rientri, ma da solo basta a dare un’idea della vastità del fenomeno. Si trattò di un esodo che, a differenza di quanto si crede comunemente, toccò tutte le regioni italiane, con una priorità dell’esodo settentrionale tra il 1876 e il 1900 con tre regioni che fornirono da sole il 47 per cento del contingente migratorio: il Veneto (17,9), il Friuli Venezia Giulia (16,1 per cento) e il Piemonte (12,5 per cento). La situazione si capovolse nei due decenni successivi quando il primato migratorio passò alle regioni meridionali con la Sicilia che dette il maggior contributo, 12,8 per cento con 1.126.513 emigranti, seguita dalla Campania con 955.1889 (10,9 per cento).
Il fenomeno non si è esaurito. Oggi gli italiani sono ancora al primo posto tra i migranti comunitari (1.185.700 di cui 563.000 in Germania, 252.800 in Francia e 216.000 in Belgio) seguiti da portoghesi, spagnoli e greci. Nel 1994 effettuarono la cancellazione anagrafica per l’estero 59.402 italiani con una prevalenza di partenza dall’Italia meridionale e insulare (57 per cento); e la Sicilia è di nuovo la prima regione con 13.615 cancellazioni.
Alla Sicilia spettano alcuni primati in campo migratorio, tra cui per il passato il maggior numero di espatri verso gli Stati Uniti. Negli anni 1890-1913 su dieci siciliani emigrati, nove si recarono negli Stati Uniti. Negli anni 1950-60 si assistette a una differenziazione delle mete migratorie dalla regione: dei 400.000 siciliani emigrati circa un 25 per cento continuò a preferire mete transoceaniche, che questa volta includevano Oceania, Africa e Asia, un 5 per cento si diresse verso i paesi non europei del bacino del Mediterraneo, più di un quarto si spostò verso le regioni industrializzate del Centro Nord italiano ed il resto verso i paesi dell’Europa del Nord.
Tabella 1 Emigrazione italiana per regione 1876-1900, 1901-1915 (Valori assoluti e in percentuale)
Regione 1)Nro. 2)Per cento del totale 3)Nro. 4)Per cento del totale
Piemonte 709.076 13,5 831.088 9,5
Lombardia 519.100 9,9 823.695 9,4
Veneto 940.711 17,9 882.082 10,1
Friuli V.G 847.072 16,1 560,721 6,4
Liguria 117,841 2,2 105,215 1,2
Emilia 220,745 4,2 469,630 5,4
Toscana 290,111 5,5 437,045 5,4
Umbria 8,866 0,15 155,674 1,8
Marche 70,050 1,3 320,107 3,7
Lazio 15,830 0,3 189,225 2,2
Abruzzo 109,038 2,1 486,515 5.5
Molise 136,355 2,6 171,680 2,0
Campania 520,791 9,9 955,188 10.9
Puglia 50,282 1,0 332,615 3,8
Basilicata 191,433 3,6 194,260 22
Calabria 275,926 5,2 603,105 6,9
Sicilia 226,449 4,31 1,126,513 12,8
Sardegna 8135 89,624 1,0
Totale espatri 5,527,911 100.0 8,769,749 100.0
Rielaborazione dati Istat in Gianfausto Rosoli, Un secolo di emigrazione italiana 1876-1976, Roma, Cser, 1978.
Tabella 2 Principali paesi di emigrazione italiana 1876-1976
Paesi Europei Paesi No Europei
Francia 4.117.394 Stati Uniti 5.691.404
Svizzera 3.989.813 Argentina 2.969.402
Germania 2.452.587 Brasile 1.456.914
Belgio 535.031 Canada 650.358
Gran Bretagna 263.598 Australia 428.289
Altri 1.188.135 Venezuela 285.014
Totale 12.546.558 11.481.381
L’Italia contribuì con percentuali analoghe all’esodo verso l’Europa e verso le Americhe, ma una notevole differenza fu nelle zone di partenza: il mezzogiorno fornì il 90 per cento della propria emigrazione alle Americhe, privilegiando gli Stati Uniti. Il viaggio in treno per raggiungere i paesi dell’Europa settentrionale era non solo altrettanto lungo, ma costava più di quello sul bastimento. Dal settentrione l’emigrazione transoceanica privilegiò l’America Latina, con ulteriori suddivisioni: dal Veneto andarono prevalentemente in Brasile, i piemontesi si diressero prevalentemente in Argentina. Dalle regioni dell’Italia centrale l’emigrazione si divise equamente tra stati nordeuropei e mete transoceaniche.I tratti caratteristici di questa emigrazione furono l’alto tasso di mascolinità (circa l’ottanta per cento nel periodo iniziale), la giovane età (la maggioranza apparteneva alla fascia di età compresa tra i quindici e i quarant’anni), e l’accentuata temporaneità (negli anni 1861-1940 solo un terzo decise di fermarsi definitivamente all’estero). Si trattò di un esodo di popolazione agraria, prevalentemente analfabeta: nel 1871 il tasso di analfabetismo nazionale era del 67,5, e nelle regioni meridionali superava spesso il 90 per cento. I contadini, agricoltori e braccianti, non furono gli unici protagonisti: artigiani, muratori e operai li accompagnarono. Tra i motivi dell’esodo oltre agli effetti della crisi agraria degli anni ottanta dell’Ottocento e l’aggravarsi delle imposte nelle campagne meridionali dopo l’unificazione del paese, sono da citare il declino dei vecchi mestieri artigiani e delle industrie domestiche. Nel Sud Italia la condizione contadina era aggravata dalla presenza di piccole proprietà insufficienti per il mantenimento e dal latifondismo. Scriveva Gaetano Salvemini:Nel Sud si ricava dalla terra appena tanto da mangiare e da pagare le tasse… E alla prima difficoltà tutto va per aria. Se non ci fosse l’emigrazione transoceanica, avremmo ad ogni cattiva raccolta.. delle vere e proprie crisi di fame.Ai fattori di espulsione si sommavano quelli di attrazione: mai prima di allora c’era stata tanta richiesta di manodopera in Europa, soprattutto in Francia e in Svizzera, e nelle Americhe. L’Argentina incoraggiava l’immigrazione per la colonizzazione delle sue terre, in Brasile dove dal 1888 era stata abolita la schiavitù, vi era gran richiesta di braccia per le fazendas: intere famiglie prevalentemente venete, vennero reclutate e lavorarono per i latifondisti in una sorta di regime mezzadrile. Il lavoro svolto dagli immigrati dipendeva quindi dalle offerte del mercato del lavoro nei paesi di insediamento. Negli Stati Uniti gli italiani si concentrarono nelle grandi città del Nord Est privilegiando i lavori salariati, anche in vista del rientro in Italia, e furono impiegati nelle fabbriche, nella costruzione di strade e ferrovie e nelle miniere.

Le modalità dell’emigrazione e dell’insediamento si articolarono prevalentemente attraverso catene migratorie familiari e di mestiere. Non trascurabili furono, specialmente nei primi anni del grande esodo, i numerosi episodi di sfruttamento degli emigranti che iniziava ancor prima della partenza dal momento che una forma di finanziamento del biglietto transoceanico era costituta dal credito. Dopo essere stati taglieggiati e raggirati in patria dagli agenti di emigrazione una volta giunti in America non trovarono una situazione migliore: da un’inchiesta del 1897 a Chicago risultò che il 22 per cento degli immigrati italiani lavorava per un padrone; ciò implicava il versamento di una tangente per ottenere un lavoro e l’abitazione e l’obbligo di acquistare le merci in uno spaccio indicato.

Gli italiani furono in questi anni oggetto di numerosi episodi di xenofobia sia in Europa che negli Stati Uniti. I più noti sono quelli di Aigues Mortes, in Francia, dove nel 1893 morirono nove italiani per mano di una folla inferocita che colse un banale pretesto per vendicarsi della disponibilità degli italiani ad accettare paghe più basse dei lavoratori francesi. Negli Stati Uniti, a New Orleans, nel 1901 undici siciliani vennero linciati con l’accusa di appartenere alla Mafia. Sempre in America i calabresi e i siciliani vennero descritti da una commissione parlamentare, istituita nel 1911 per analizzare il fenomeno della nuova immigrazione, come coloro che davano un contributo fondamentale alla crescita del fenomeno della delinquenza nelle città americane. Nei primi decenni di immigrazione la statistiche censivano separatamente italiani del Nord e del Sud, attribuendo i primi a un’ipotetica razza "celtica" ed i secondi alla razza mediterranea; la voce del censimento che riguardava gli italiani inserì i siciliani sotto la voce non white, perché di pelle scura. Le leggi sull’immigrazione promulgate durante gli anni venti rifletterono il pregiudizio antmeridionale: di fatto posero fine all’immigrazione italiana negli Stati Uniti, stabilendo delle quote per ogni nazionalità, discriminarono di fatto tra le popolazioni del nord Europa e quelle dell’Europa Sud Orientale.Due guerre mondiali e il fascismo limitarono fortemente il flusso migratorio italiano che riprese però nel dopoguerra, inserendo nuove mete come il Canada e l’Australia, accanto alle solite Stati Uniti, Argentina ed Europa. Dal 1945 i valori medi annui dell’esodo toccarono le trecentomila unità. Mentre nel decennio 1946-55 più del cinquanta per cento privilegiò mete extraeuropee, tra il 1961 e il 1965 l’85 per cento degli espatri avvenne verso paesi europei. A partire dagli anni sessanta l’emigrazione – quasi quattro milioni di persone, di cui ben uno dalla Sicilia - avvenne quasi esclusivamente dalle regioni meridionali e si orientò verso le aree industrializzate dell’Europa settentrionale e nel triangolo industriale italiano, in cui si riversarono circa due milioni di immigrati.

Le comunità italiane all'estero oggi
Oggi il numero di italiani che lasciano il proprio paese per cercare migliori opportunità di lavoro all’estero si è fortemente ridotto, ma non è completamente esaurito. Si ha un flusso di circa cinquantamila persone che espatriano e altrettante che rimpatriano. Ciò che è mutato è la qualifica professionale degli emigranti: è aumentato il numero di tecnici e operai specializzati che si recano in cantieri o in imprese ad alta tecnologia italiana nei paesi del terzo mondo.Gli italiani all’estero secondo le stime del Ministero degli affari esteri erano nel 1986 5.115.747, di cui il 43 per cento nelle Americhe e il 42,9 in Europa. L’entità delle collettività di origine italiana ammonta invece a decine di milioni, comprendendo i discendenti degli immigrati nei vari paesi. Al primo posto troviamo l’Argentina con 15 milioni di persone, gli Stati Uniti con 12 milioni, il Brasile con 8 milioni, il Canada con un milione e l’Australia con 540.000 persone.

Nonostante sia trascorso più di un secolo dagli esordi della diaspora italiana nel mondo numerosi elementi stanno ad indicare il perdurare di un senso di appartenenza etnico dei discendenti degli italiani nei confronti del loro paese d’origine. L’etnicità italiana sembra oggi frutto di scelte volontarie che si manifestano nei modi più svariati determinati anche dalla politiche dei paesi di insediamento. Il pluralismo culturale del mondo anglofono ha indubbiamente favorito il perdurare di rapporti privilegiati con il paese d’origine, basti pensare all’autoidentificazione di più di 14 milioni di cittadini statunitensi con l’Italia, al diffondersi dello studio della lingua italiana, all’associazionismo, agli scambi commerciali di prodotti etnici che, se nel passato erano legati prevalentemente dall’industria alimentare, sono oggi passati alla moda e al design.

Fonte: siciliaineuropa