domingo, 22 de marzo de 2009

La Zisa, lo splendore abbandonato. Il degrado di uno dei monumenti più belli di Palermo


di Claudio Alessandri
SiciliaInformazioni
Quando appresi che, finalmente, le autorità preposte alla conservazione e valorizzazione dei beni monumentali di Palermo, avevano dato il via al ripristino dell’ampio spazio prospiciente il “castello” della Zisa, non mi parve vero; finalmente un progetto elaborato da anni veniva posto in opera eliminando gli sterpi, i cumuli di sfabbriciti e di sporcizia varia, confesso che, pur non abbandonando del tutto il mio scetticismo maturato in anni ed anni di dolorose delusioni da quando mi interessavo, con grande trasporto, ai rari monumenti palermitani del periodo appena successivo alla conquista normanna della Sicilia e conseguente diaspora degli occupanti musulmani.
Avevo assistito con immenso dolore ed altrettanta “stizza” al crollo di buona parte della Zisa, lato sud, (1971) ed il successivo intervento di restauro (1972) affidato a Giuseppe Caronia, venne portato a termine in modo non proprio ortodosso perché non di restauro si può parlare, ma di drastica ricostruzione, in breve un “falso”, seppure inevitabile. Avevo partecipato ai rilievi del “castello” della Fawara, o per meglio dire, di quel po’ che aveva resistito all’assalto massiccio dei “senza casa”. L’Arch. Silvana Braida, profonda conoscitrice sia per la parte storica che architettonica di quei monumenti arabo-normanni notò, molti anni addietro: “La Fawara mi apparve come il tronco di una antica quercia il cui fusto possente, ferito a morte, ospitava una fitta fungaia, simile ad un cancro malefico”.
Potrei continuare con gli altri “sollazzi”; Uscibene, Cuba e Palazzo Ruggeriano di Altofonte, ma a che prò, sono trascorsi almeno quarant’anni da quando ho iniziato a segnalare il degrado nel quale giacevano quei monumenti, era la nostra storia, la nostra civiltà che si dissolveva mattone dopo mattone, stucco dopo stucco, i mosaici venivano depredati, le colonne di prezioso marmo venivano trafugate per andare ad abbellire le ville “pretenziose” dei nuovi ricchi, assolutamente indifferenti alla dissoluzione di un mondo che appariva loro come “quattro pietre cadute” al pari del contadino che ama i broccoli e reputa inutili i fiori, ma per lui non mancano le buone ragioni.
Nel 2005, dopo circa un anno di lavori, il giardino prospiciente la Zisa venne completato. Il Sindaco Diego Cammarata fu pronto a cogliere l’occasione e durante l’inaugurazione avvenuta in “pompa magna” alla presenza di un numeroso pubblico plaudente e riconoscente, con parole colme di orgoglio e commozione, “consegnò” ai palermitani quel parco. Il terzo per estensione pari a circa tre ettari, degna presentazione per un momento storicamente ed architettonicamente importante come “La Zisa” (nobile, splendida, gloriosa).
Una scritta in caratteri arabi che sormonta l’arco di ingresso al “castello”, nella parte interna declama tra l’altro: “…questo è il paradiso terrestre che si apre agli sguardi. Questi è il Musta’izz questo (palazzo) l’Aziz”.
Ebbene, sperai, volli credere che qualcosa fosse mutato a Palermo, già tanto mortificata da povertà, disoccupazione, speculazione edilizia…, mi dissi che non poteva essere tutto negativo, pensai addirittura di essere io un pessimista inguaribile e finii per crederci.
“Mal me ne incolse”, dal 2005 sono trascorsi quasi cinque anni e la mia speranza si è infranta contro la dura realtà. Le vasche che proseguivano, idealmente, il corso d’acqua che scaturiva all’interno della Zisa e che, fuoriuscendo andava ad alimentare la peschiera, elemento vitale per i costruttori arabo-normanni e che i restauratori sostenevano concepita secondo i dettami di quella originale (spero solo idealmente), è desolatamente asciutta, l’acqua non diffonde più il suo suono argentino scorrendo lungo il rinato “sciardivàn”.
Il vasto giardino ricco di essenze mediterranee odorose, langue per l’assenza dei giardinieri, numerosi poco dopo l’inaugurazione del nuovo spazio verde della città, oggi solo uno e saltuariamente.
Tutto reca i segni del più triste abbandono ed i turisti, numerosissimi, non avvertiti in tempo dello stato miserrimo di quello che costituì, qualche anno prima, l’orgoglio della rinata Palermo, grazie all’illuminata amministrazione del Sindaco Diego Cammarata, giunti sul sito, dopo qualche attimo di scoramento, non volendo avere sprecato inutilmente il loro tempo, bersagliano di scatti fotografici quello che rimane di un parco nato qualche anno fa e distrutto molto prima di quello originale che aveva resistito per millenni.
Torneranno alle loro case in Germania, in Francia ed Inghilterra e mostreranno ai loro amici “invidiosi” quelle fotografie che ritraggono lo squallore del “rinato piccolo frammento, del favoloso “Genuard” cantato poeticamente dal viaggiatore arabo Ibn Gubayr nel 1184; quale esempio di come non si deve amministrare una città, un tempo “splendida e felice” come fu Palermo, ma mi chiedo, ecco tornare prepotente il mio incurabile pessimismo… “felice”, ma realmente Palermo lo fu mai? Oggi, certamente no.